Dopo una partita come questa gara-1 contro Toronto ti rendi conto di essere in uno di quei momenti dove tutto va bene. Il quarto inning, concluso da uno degli homerun più epici che mi ricordi in una regular season, è esattamente ciò che intendo in questi casi; contiene : la chiamata dell’instant replay con annesso errore di leggerezza dei Jays, una battuta valida di Nunez con la pallina che ha percorso non più di cinque metri, il pop in foul lasciato cadere da Smoak, insomma … se una cosa fosse capitata ai nostri amici del Bronx avremmo detto che tutto congiura per farli vincere.
Amo l’estate, le giornate con un mucchio di ore di sole, ma questi Sox mi fanno dire che vorrei che fosse ottobre, con le caldarroste, i funghi porcini e semmai un po’ di tartufo grattato su una semplicissima pasta in bianco. Si arrivasse ad ottobre con questa carica, con questo stato di forma che non esito a definire ottimale, allora non saremmo noi a dire : “preferiamo prendere questi anzichè quest’altri”, sarebbero gli altri a dire : “oddio, è bene evitare i Boston Red Sox”. I playoff sono decisi da fattori che oggi non possiamo certo definire, solo il dio del baseball conosce in quale stato di forma ci presenteremo, se avremo infortuni, come ci arriveranno i nostri avversari, etc. etc.
Detto questo godiamoci il momento, prendete il turno nel box di Betts e mettetelo al sicuro nella vostra memoria, prendete l’urlo della foto qui sotto che non sarà così iconico come quello di Marco Tardelli al Bernabeu in quel magico 11 luglio 1982 (oh … nostalgia canaglia) e conservatelo nei vostri ricordi sportivi come farò io, stamattina non ho fatto il tuffo nella fontana che feci completamente vestito in quel luglio così lontano, ma un bell’urlo l’ho cacciato, un piccolo modestissimo urlo che s’è sommato al ruggito del Fenway, un ruggito che potrà sembrare assurdo per una semplice partita di regular season, ma è una liberazione che testimonia come non tutti i momenti siano uguali, nello sport come nella vita.
Sull’uomo qui sopra sono ovviamente terminati gli aggettivi, il mio lessico non ne contempla di maggiormente iperbolici di quelli che tutti voi potreste usare, il pensiero a come tenerlo al Fenway fino al giorno in cui i fiumi daranno latte anzichè acqua deve essere il primo pensiero del nostro front office, già in passato vi scrissi del fatto che i rapporti tra i suoi agenti ed i Sox siano semplicemente civili ed anzi che i Sox abbiano tirato indietro le cifre quando si andò all’arbitrato, con risultato che l’arbitro diede ragione in pieno a Betts. Adesso sono d’accordo che non si tratti, che si debba essere focalizzati su ciò che avviene in campo, ma un minuto dopo la fine della stagione occorre che Dombrowski & Co si chiudano in una stanza coi rappresentanti di Betts e partoriscano il contratto a costo che il popolo del Fenway tolga il tetto al luogo del meeting e li metta a pane ed acqua, esattamente come avvenne in un famoso conclave nel Medioevo svoltosi a Viterbo, quando il popolo esasperato che i cardinali dopo tre anni continuassero a discutere senza costrutto decise di agire così per affrettare la scelta.
Stamattina mi son preso un attimo per dare un’occhiata al draft 2011, quando i nostri scelsero Mookie seppur al 5° giro col numero 172, trovo divertente andare a rivedere i draft ad anni di distanza, è un esercizio gradevole in tutti gli sport americani. Chi sono i 171 chiamati prima di Betts ? Ovviamente c’è di tutto e di più, per esempio nel primo giro furono chiamati Lindor, Springer, Javier Baez, ma come secondo assoluto fu chiamato tale Danny Hultzen. Guardiamo solo in casa nostra, abbiamo detto che i Sox lo scelsero al 5° giro, chi prendemmo prima di lui ? Matt Barnes (Ok … ci può stare), Swihart (insomma …), Henry Owens (bufala, superbufala, bufalissima), JBJ (OK), Williams Jerez (che ad anni 26 è ancora a Pawtucket) e Noe Ramirez (tagliato l’anno scorso ora giochicchia ad Anaheim). Questo serva anche per dirvi quanto sia complesso il draft, dover selezionare dei bimbi che poi potranno darti un contributo quando saranno uomini, un’arte d’una complessità immensa.
Ci risentiamo alla pausa, se non altro apprendiamo con sollievo che nessuno dei nostri è stato selezionato per quella robetta dell’Home Run Derby, non sono quelli gli homerun che ci servono, ci servono quelli identici a quello fatto stanotte da Markus Lynn Betts, quando il pitcher gli si è consegnato per stanchezza, alzando bandiera bianca. Parafrasando una nota pubblicità di anni fa : “Mookie Betts … per me numero 1”.